E’ stato Tommaso Fazello, uno dei più grandi storici della nostra isola, ad effettuare intorno al 1550 la prima ricerca archeologica. Egli, prima di compilare la sua storia della Sicilia,
volle visitare tutte le località siciliane, per documentarsi personalmente. Nel suo libro, pubblicato nel 1558, egli afferma di essersi recato a Tripi, nei cui pressi, a nord- est del castello,
vide i resti di una vecchia e grande città, non riuscendo però a identificare di che città si trattasse. In epoche successive, nel corso di alcuni lavori agricoli effettuati dagli stessi proprietari terrieri,
sono stati ritrovati alcuni oggetti che lasciavano intuire ad una città sepolta; si trattava di monete d’argento e di bronzo, anfore, frammenti di ceramica, ed altri corredi di grande valore storico-archeologico.
In seguito sono state effettuate altre due campagne di scavi a cura della Soprintendenza Archeologica di Siracusa, una nel 1952 e l’altra nel 1961, affidate rispettivamente a François Villard e Madeleine Cavalier.
Nella prima campagna, in contrada Piano, sono stati trovati resti di una villa romana, fra cui tre pezzi di colonne, un torso di statua priva di testa ed altri oggetti; in contrada Currao a seguito dell’individuazione di una necropoli sono state rinvenute altre monete.
Nella seconda campagna, sono stati identificati: l’agorà, una strada lastricata, colonne di pietra, colonne formate da anelli di argilla sovrapposti e un focolare dell’epoca romana.
Sul quotidiano "Il Popolo" del 6 maggio 1961, è stato scritto: "...le costruzioni in pietra e mattoni in terracotta, tirate fuori, si fanno risalire al periodo ellenistico e a quello romano imperiale. Gli scavi hanno portato alla luce numerose monete: alcune sono del tempo di Gerone e portano incise nelle due facce le figure di Giove e del tiranno di Siracusa. Altre sono mamertine con le teste di Eracle, Artemide e Diana".
Nella contrada S. Caterina, inoltre, è stato rinvenuto uno scheletro della lunghezza di circa 1,80 m., deposto in una tomba, avente la volta rotonda e fatta con mattoni disposti a spina di pesce.
Queste due campagne di scavi hanno dato ulteriore conferma che vi era edificata l’antica Abacena.
Attualmente le monete di Abacena sono custodite nei più famosi musei del mondo: Siracusa, Palermo, Napoli, Firenze, Parigi, Monaco, Londra, Berlino e New York. Dopo le ricerche condotte nel 1952 e nel 1961, la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Messina, sotto la direzione della dottoressa M.G. Bacci, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Tripi, ha ripreso nel 1994 la campagna di scavi in un vasto settore della necropoli greca sita in contrada Cardusa.
In quest’ultima campagna, considerata di grande rilevanza, per i "tesori" rinvenuti, sono stati portati alla luce circa ottanta sepolture, databili tra la fine del IV e l’inizio del II secolo a.C.;in genere sono molto ben conservate, realizzate con cura ed impegno, alcune spiccatamente monumentali. Il rito funerario prevedeva, come di consueto a quell’epoca, sia l’inumazione che l’incinerazione del cadavere.
La sepoltura vera e propria è per lo più costituita da una fossa, più di rado da una cassa di lastroni in pietra locale; è sempre sormontata da un epitymbion, costituito da dado portastele e stele, su cui veniva inciso, in caratteri greci, il nome del defunto solo o accompagnato da frasi, come ad es. kaire, oppure da epiteti che richiamavano la sua appartenenza ad un gruppo familiare e il suo mestiere. Fonti preziosi di notizie, si sono rivelati i corredi delle tombe, che oltre agli elementi di ceramica, hanno restituito un numero di lavori di oreficeria particolarmente raffinati: diademi, collane, anelli con castone, orecchini, bracciali, che denotano una certa ricchezza dei defunti. Sono stati inoltre rinvenuti alcuni specchi circolari in bronzo, una situla bronzea, armi in ferro ed alcune monete. Questi ultimi risultano coniate a nome della stessa città, elemento questo che sta ad indicare che Abacena era una zecca a se stante, e non adottava monete coniate a nome di altre città, quali Messana e Siracusa. Le emissioni non sono collocabili in un unico periodo, ma la coniazione ha avuto più riprese. Le più antiche risalgono al 460 a. C. e sono state emesse in coincidenza con i periodi storici più cruciali per la storia della Sicilia, dalla rivolta di Ducezio a quella di Timoleonte, per interrompersi nell’ultimo decennio del III secolo a. C.; a questo periodo risalgono le ultime emissioni, ma la città di Abakainon, non cessò di esistere, smise soltanto di coniare monete.
Dalle raffigurazioni impresse nelle monete d’argento, costituite da un cinghiale o da una scrofa, talvolta accompagnata dai porcellini e da ghiande, connota e distingue le monete di Abacena, in quanto rappresentano un unicum in ambito siciliano e magno-greco. Il cinghiale, eletto come animale simbolo della città, è ispirato all’ambiente boschivo circostante, in cui l’animale vive, ma anche alla secolare tradizione delle raffigurazioni pittoriche della caccia, che lo vedono protagonista, insieme al cervo. La scrofa, suo corrispettivo femminile, è legata all’idea di fecondità. Abacena ha cessato di esistere molto presto a causa dell’arrivo degli Arabi e dei Normanni, che hanno costretto la popolazione a spostarsi dalla zona pianeggiante sul cono montuoso che sorgeva alle spalle di essa, edificando l’odierna Tripi.
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