Oltre ai ruderi del castello dislocati sulla rocca a 361 metri s.l.m., e a quelli della chiesa dedicata a S. Antonio da Padova, costruita accanto sullo stesso luogo dai preti di S. Filippo Neri, quale memoria del passato c'è quello che rimane del palazzo Baronale di cui parla l'Amico, e che non fu più ricostruito completamente dopo i danni subiti dalla disastrosa alluvione del 1863 e dal terremoto del 1908.
Quest'ultimo evento fu rovinoso anche per la chiesa Madre, che si erge in piazza Municipio nella parte est del paese e che veniva così descritta da V. Amico nel 1778: sorge con doppio ordine di colonne, sontuosa nel campanile, gli organi, gli altari, la suppellettile, con decentissimo culto per le cose divine.
La sua ricostruzione si protrasse a lungo nel tempo, con gravi danni ai capitelli delle colonne completamente sfregiati, mentre la torre campanaria, quadrangolare e merlata, sicuramente in origine era molto più svettante e doveva terminare con una copertura a cuspide.
All'interno rimangono, nell'abside centrale, due affreschi di Joseph Cristodoro, cancellati nella parte inferiore dall'umidità e delimitati da stucchi di epoca barocca. Del '700 è la "macchina" lignea, in oro zecchino, con al centro la Madonna del Rosario, situata nell'abside di destra, mentre nell?abside di sinistra due colonne sorreggono un timpano settecentesco con una tela raffigurante S. Nicolò, patrono di Saponara.
Nelle navate sono collocati otto altari con rivestimento in tarsie di marmo; oltre a due acquasantiere settecentesche, ad una fonte battesimale di pregevole fattura, ci sono poi due tombe gentilizie, due paliotti sempre settecenteschi, e alcuni pregevoli paramenti sacri.
Al di là dell'antico guado si snoda a ridosso di possenti bastioni, rafforzati da contrafforti, l'altra parte del paese con la fontana del "Bottesco", datata 1670 E' il "Buttiscu", che l'italianizzazione dell'antico toponimo ha trasformato in "Bottesco", un lavatoio pubblico alimentato da otto getti d'acqua.
L'etimo rimanda all?antico sistema di captazione di resorgive; là, dove l'acqua affiorava, si procedeva con lo scavare un tunnel di ampiezza tale da consentire ad un uomo di maneggiare piccone e badile per i lavori di sterramento. Per prevenire frane, smottamenti e crolli, con il procedere dello scavo, la volta e le pareti venivano puntellate con assi connesse in modo tale da richiamare le doghe delle botti donde, per l'identificazione strutturale, la denominazione di "Buttiscu", simile alla botte.
Da secoli quell'acqua, conurbata a valle dal più esteso bacino imbrifero dei Peloritani, viene generosamente erogata dalla madre terra e generazioni di donne si sono succedute alle pietre del lavatoio per assolvere alla gravosa incombenza di fare il bucato. Questo ci dice la traduzione della iscrizione latina, posta sulla fontana dopo una ristrutturazione del 1670: "I singoli elementi, che renderebbero celeberrima qualsiasi fonte, defluiscono tutti insieme da questa sola ed offrono delizia e ristoro ai nativi ed ai forestieri 1670 anno della ristrutturazione".
L'ultima frase fa pensare che là giù prima esistesse una fontana, magari più semplice In contrada Scarcelli ci sono i ruderi della chiesa di S. Antonio di Padova; la chiesa è privata e anticamente era aperta al culto solo durante la festa del Santo patrono.
Non si sa esattamente l'anno di costruzione di tale edificio, nè si conosce la data di inizio delle celebrazioni religiose, però è certo che già nel '700 era il punto di riferimento del culto cristiano per gli abitanti della frazione.
L'edificio, oggi in stato di abbandono, è un esempio di edilizia rurale di quel periodo. Il prospetto semplice, con una rudimentale porta ed una spoglia finestra, è movimentato da un mosso timpano arricchito da pinnacoli e volute che incorniciano il campanile a vela. L'interno è a navata unica con abside semicircolare e due altari laterali, il soffitto a travi coperte con mensole, il pavimento in cotto. Nell'abside ci sono sobri stucchi ed una coppia di putti di sapore dialettale.
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